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L'UNIVERSO DI STEPHEN KING

  • Immagine del redattore: Milo
    Milo
  • 17 gen 2019
  • Tempo di lettura: 14 min

© Maurilio Di Stefano, 2019



Cosa c’entra il Re dell’Horror con uno dei simboli più antichi della storia mitica e religiosa dell’umanità?

Il discorso è ampio e complesso, ma basta rispondere a due altre semplici domande. Che cos’è l’Axis Mundi? Che cos’è la Torre Nera ideata da Stephen King?

E il gioco è fatto.



1. L’Axis Mundi


L’Axis Mundi, facilmente traducibile dal Latino come ‘Asse del Mondo’, è un’immagine comune a moltissime antiche tradizioni e religioni delle zone geografiche più disparate del mondo.

Esso costituisce l’asse dell’universo. Un cardine, una struttura portante attorno alla quale si imperniano le diverse dimensioni della realtà e che serve a metterle tutte quante in comunicazione. Si tratta di una struttura fissa situata al centro del cosmo che ne costituisce appoggio e fonte di equilibrio.

Non a caso, dovendo in antichità collegare le tre principali dimensioni della realtà, ossia Cielo, Terra e Inferi, ha sempre una forma allungata seppur variabile: albero, torre, montagna, ecc.

Le varianti nelle cui sembianze ritroviamo questa estensione del simbolico ‘Albero della Vita’ nelle diverse tradizioni sono tantissime, e molte di loro anche parecchio famose.

Basta pensare a pochi eclatanti esempi:

· il Monte Olimpo degli antichi Greci;

· il Monte Meru nella simbologia religiosa del Sud-Est asiatico;

· lo Hara Berezaiti, montagna sacra che secondo gli antichi Persiani si trovava ai confini del mondo;

· l’Himinbjörg della mitologia scandinava;

· l’albero cosmico Yggdrasill, a cui secondo la mitologia norrena il dio Odino rimase appeso per nove giorni (in questo senso un’immagine non troppo diversa dalla Croce cristiana);

· il misterioso Sampo di cui si narra nel Kalevala, il poema nazionale finlandese;

· l’albero Irminsul degli antichi Sassoni;

· anche la Torre di Babele biblica, in un certo senso.

E così via. Dai Maya ai Cinesi, dagli ziggurat babilonesi alle piramidi egizie fino ai totem dei nativi americani, l’elenco sarebbe davvero troppo lungo per questo articolo.

Per non parlare poi dei riferimenti letterari, moderni o meno. Citerò tre esempi eclatanti tra quelli che più mi stanno a cuore e che molti nel mondo conoscono alla perfezione:

· la collina del Purgatorio dantesco, che mette in comunicazione il regno intermedio con gli altri due, Inferno e Paradiso;

· le molteplici torri presenti nella trilogia de Il signore degli anelli di Tolkien e il Monte Fato stesso;

· la Torre Nera, il magnum opus di Stephen King.



2. La Torre Nera


Nell’universo letterario creato da Stephen King la Torre Nera è un asse, un cardine energetico, metafisico e anche psichico attorno al quale si strutturano la realtà e tutte le dimensioni in cui essa si divide. Finché la torre è in piedi, l’universo può essere mantenuto nella situazione di equilibrio che lo risparmia dal precipitare nel caos totale. Basta già questo a evidenziare la chiara simbologia collegata all’immagine del tradizionale Axis Mundi.

La Torre Nera si trova nella sua forma fisica di torre soltanto nella dimensione chiamata Tutto-Mondo, nella quale vive il pistolero Roland Deschain, protagonista principale degli otto libri della saga.

Il Tutto-Mondo è diviso a sua volta in tre zone, Entro-Mondo, Medio-Mondo e Fine-Mondo, al di là delle quali si trova Oltre-Mondo. La struttura tripartita del mondo e la presenza di un vasto ‘oltre’ indefinito nell’aldilà non ha neppure bisogno di essere interpretata, tanto è chiara sia a livello mitico che psicologico.

Nelle altre dimensioni parallele, la Torre si trova invece in altre forme. In un mondo in particolare, detto ‘Mondo Cardine’ (l’unico in cui vive lo scrittore Stephen King e in cui i cambiamenti avvenuti non possono essere cancellati, concetti su cui tornerò in chiusura), essa assume le sembianze di una rosa.

La Torre Nera è tenuta in piedi da raggi di forza, chiamati Vettori, che come i sei diametri (o dodici raggi) di una ruota si imperniano attorno alla torre e la collegano alle dodici estremità dell’universo. I Vettori sono la fonte di energia primaria e invisibile che mantiene l’ordine del cosmo.

All’estremità di ognuna delle loro dodici direzioni si trovano dodici Portali e altrettanti Guardiani, in forma di animali giganti come l’Orso, la Tartaruga, l’Elefante, il Lupo, il Leone, l’Aquila.

I Vettori possono essere distrutti dai Frangitori, che per farlo (costretti dal malvagio e folle Re Rosso che ha l’obiettivo di precipitare l’universo nel caos) utilizzano le proprie energie psichiche. Infatti i Frangitori sono tutti esseri umani dotati di poteri psichici paranormali come telepatia, telecinesi, eccetera – un espediente assolutamente geniale che collega più o meno direttamente il 90% dei romanzi di King (in cui la parapsicologia è sempre stato l’elemento cardine) alla Torre.

Le simbologie di questi animali archetipici, della ruota, della rosa e del Re Rosso richiederebbero di scrivere una saga di otto libri appositamente dedicata, e per quelle rimando tutti gli appassionati a letture specifiche o a un’infarinatura generale via informazioni facilmente reperibili sul web.



3. Roland Deschain e il suo ka-tet


Il protagonista principale degli otto romanzi della saga è come ho già anticipato Roland Deschain – figura per cui notoriamente King si è ispirato al poema ‘Childe Roland alla Torre Nera giunse’ (1855) dello scrittore inglese Robert Browning e al pistolero senza nome interpretato da Clint Eastwood nei tre film della celebre Trilogia del Dollaro di Sergio Leone.

Roland di Gilead – questo il nome della sua città natale – è “l’ultimo cavaliere”. Sua è la missione di raggiungere la Torre Nera e impedire che il Re Rosso la distrugga e scateni il caos nell’universo.

Il pistolero è l’eroe, il solitario, che ha in mente solo e soltanto la propria missione, per la quale è disposto a sacrificare tutto e tutti. Non è tanto diverso dall’eroe mitico greco. Viene intelligentemente piazzato da King nell’innovativo mondo western/fantasy della saga per renderlo forse più vicino alla cultura americana, ma è come un Teseo, un Giasone, forse più che tutti come Ulisse, il più distante dai canoni dei semidei tradizionali, con i suoi lati umani positivi ma anche tutte le sue debolezze.

Un uomo per cui appunto la missione, il viaggio, la ricerca, la propria questpersonale è al centro di tutta la sua vita più che tutti gli affetti e gli amori pensabili, e ne costituisce di fatto l’epica portante: una ricerca di un qualcosa che poi non è che una ricerca di se stessi – e questo nel finale della saga della Torre risulterà più evidente che mai.

Roland si troverà a compiere questa missione insieme a tre compagni di viaggio molto particolari, conosciuti e condotti nel proprio mondo attraverso tre porte dimensionali che collegano Tutto-Mondo a realtà parallele. Porte dimensionali che vengono descritte come accessi ad altri mondi con un meraviglioso cambio di gravità e polarità, chiaro simbolo di ingresso in un’altra dimensione della realtà, o psicologicamente dell’Io, dove le leggi che ‘al di qua’ siamo abituati a dare per scontate vengono sovvertite e soccombono ad altre.

La scelta dei tre, o meglio la loro “chiamata”, non è per niente casuale. Si tratta infatti di un uomo e di una donna, che si innamoreranno l’uno dell’altra, e di un bambino: le classiche componenti che simbolicamente e archetipicamente si fanno corrispondere rispettivamente alla parte maschile/spirituale della personalità, a quella femminile/animica e a quella di creatività/rinascita/creazione di una nuova umanità.

Nei dettagli che li riguardano si trovano altri particolari interessanti:

· Eddie Dean è un tossicodipendente, che per unirsi alla missione di Roland deve prima liberarsi dell’influenza negativa del fratello maggiore Henry, spacciatore di droga e tossicodipendente a sua volta che muore di overdose (il significato simbolico della morte di un fratello/gemello cattivo è sempre quello di liberarsi della parte limitante di se stessi), e poi superare le proprie crisi di astinenza da eroina (il trauma della disintossicazione è un altro chiaro simbolo di morte del vecchio sé in favore di una rinascita come uomo nuovo, pulito e purificato);

· Susannah Dean è una donna afro-americana che è la sintesi delle sue due personalità: la docile Odetta Holmes e la violenta, ingestibile Detta Walker; la simbologia della doppia personalità è analoga a quella sopra citata di Eddie Dean, e il messaggio è solo che una sintesi che include il proprio ‘lato oscuro’ crea chi siamo veramente – non a caso Odetta/Detta cambierà nome e non si lascerà mai alle spalle il suo lato sanguinario e psicotico, anzi vi attingerà nel momento del bisogno e della lotta. Ulteriore conferma del fatto che il lato ‘ombra’ di sé può essere non un ostacolo ma una risorsa si trova nelle altre due caratteristiche peculiari di Susannah: la sua personalità multipla deriva da un colpo alla testa, e soprattutto le sue gambe sono state amputate all’altezza del ginocchio in seguito a un incidente; ora, come molti sanno, la figura dello storpio/paralizzato/menomato dotato di facoltà mentali superiori alla media miste a disturbi o stranezze della personalità è forse ancora più diffusa nella letteratura, popolare e non, di quella dell’Axis Mundi – mi basta citare gli esempi più famosi dell’era recente: il professor Charles Xavier della saga X-Men e Brandon Stark de Il trono di spade.

· Jake Chambers, il bambino e ‘figlio’ simbolico di Roland. Muore e rinasce due volte per via di paradossi dimensionali e temporali. È un gran lottatore ma è anche dotato di grande bontà d’animo, non a caso è quello che riesce a tirare fuori il meglio da tutti gli altri. È lui a pronunciare, rivolgendosi a Roland prima di morire (per la prima volta), una delle frasi più celebri dell’intera saga: “Vai allora. Ci sono altri mondi oltre a questo.”

Potrei soffermarmi a ragionare sugli interessanti significati dei loro nomi - ‘chambers’ in Inglese significa ‘stanze, camere’ in ogni accezione simbolica pensabile, ‘walker’ significa ‘colui che cammina’ anche se Susannah è su una sedia a rotelle – ma mi accontenterò di dire che loro formano il secondo ka-tet (quello in età adulta) del pistolero Roland.

Cos’è un ka-tet nell’universo di Stephen King?

Il Ka è il destino – facile intuire l’assonanza con la parola Karma – descritto non a caso da King nella saga (e negli altri suoi romanzi a essa collegati trasversalmente) come una ruota dotata di raggi che torna sempre ma che può essere spezzata dalla morte e dal tradimento.

E il ka-tet è un gruppo di persone che il destino ha stabilito debbano stare unite, cementate da un’energia e da una consapevolezza che vanno oltre la loro stessa comprensione, in genere per compiere una determinata missione. Un ka-tet è un “uno derivato da molti”, in altre parole la frammentazione in più esseri viventi di una sola coscienza originaria.

È un concetto molto caro a Stephen King: basta pensare al gruppo di amici ne L’acchiappasogni, ai bambini di It e volendo anche a quelli del racconto Il corpo, contenuto nella raccolta Stagioni diverse, da cui è stato tratto l’amato film Stand by me.



4. Il significato della Torre


Alla fine del settimo libro (l’ottavo allora non era ancora previsto, e comunque si inserisce temporalmente tra il quarto e il quinto) Stephen King fa qualcosa che davvero non si è sentito quasi mai, in nessun tipo di letteratura: comunica al lettore che Roland è entrato nella Torre e che la storia è finita, le poche pagine scritte dopo può leggerle come evitarle, a lui la scelta.

Questo può permetterselo perché è Stephen King, certo, e perché quando scrive quell’ultimo capitolo sono passati ormai più di vent’anni e da oltre quattromila parole i fan attendono di conoscere l’epilogo.

Segue però un’appendice all’epilogo che lì per lì, quando avevo diciott’anni e ovviamente l’ho letta (non credo esista un solo lettore sulla terra che si è fermato alla pagina prima dove King ha scritto che era possibile farlo), non mi è piaciuta molto; ma che invece ora, in retrospettiva, reputo molto più interessante dell’intero settimo libro preso nella sua totalità, davvero.

Infatti, nella ‘seconda’ fine, il pistolero entra nella Torre e dopo una vita intera di ricerca, sfiancato, esausto, esaurito, non ci trova dentro altro che se stesso. Un finale che ha lasciato interdetti molti lettori, appunto, ma che dal punto di vista simbolico è assolutamente sublime.

Roland sale le scale della torre e apre le stanze che sono sulla sua cima, per trovare nient’altro che immagini e oggetti relativi a tutta la sua vita, dall’infanzia fino alle ultime fasi della sua missione di ricerca della Torre stessa. In una parola: ricordi.

Così Roland Deschain comprende che la Torre è lui. Ma se la Torre è il cardine dell’universo, se la Torre è l’universo, se la Torre è tutto, allora anche lui è tutto, e nel tutto è immerso e compenetrato.

Non solo: Roland comprende anche che quella non è la prima volta, niente affatto. Il pistolero ha già raggiunto la Torre molte, moltissime altre volte. Centinaia, migliaia forse. Ma finché non sarà in grado di cambiare, di evolvere e diventare una persona migliore – in altre parole di smettere di sacrificare tutto e tutti, inclusi i membri del suo ka-tet, solo per l’ossessiva, egoistica e disperata ricerca della Torre – il suo destino è quello di ricominciare da capo, per così dire di essere messo di nuovo alla prova.

E così finisce davvero il settimo libro della saga, infatti. Con la stessa identica frase con cui tutto era iniziato nella prima pagina del primo libro: “L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì.” E l’uomo in nero che Roland insegue, per di più nel deserto, non è forse simbolo perfetto del suo altro sé, del proprio lato oscuro che lui ossessivamente rincorre passando sopra i cadaveri, se necessario, dei suoi stessi amici?

Una classica ring composition, o struttura ad anello, che sta a significare sì l’eterno ritorno della ruota del Ka ma anche che il destino, e in questo senso il futuro, possono essere cambiati operando scelte differenti nel passato. Infatti il lettore è autorizzato, e anche indirizzato, a pensare che chiunque di noi, se arrivasse alla Torre e ci entrasse dentro, troverebbe i propri ricordi, la propria esistenza, sarebbe costretto a fare i conti con se stesso e potrebbe rivivere la propria vita da capo tentando stavolta di fare la cosa giusta.



5. I collegamenti e i richiami alla Torre Nera nelle altre opere kinghiane


La Torre Nera è magistralmente collegata a quasi ogni altra opera di Stephen King, in un modo o nell’altro.

Come ho già accennato prima, il solo fatto che i Frangitori siano i dotati di poteri psichici che vengono rapiti e costretti a lavorare con la loro energia mentale alla distruzione dei Vettori include in questa visione dell’universo kinghiano i protagonisti di ogni suo libro che presenta elementi parapsicologici – e a questo proposito si fa molto prima a elencare quelli che sono fuori da questa categoria che non il contrario.

Ma, ulteriormente, i collegamenti davvero rilevanti a tanti grandi e amati romanzi di King sono svariati. Tanto per fare qualche esempio:

· la Tartaruga, guardiano diametralmente opposto all’Orso di uno dei sei Vettori, è la stessa creatura primordiale benigna che aiuta i sette protagonisti di It, il romanzo di King che detiene il primato incontrastato nel cuore dei suoi lettori;

· Randall Flagg, stregone e servitore dell’oscurità presente come antagonista principale nel mastodontico L’ombra dello scorpione, non è altro che ‘l’uomo in nero’ che Roland insegue nel deserto nella saga della Torre;

· Padre Callahan ricompare nel mondo di Roland dopo anni in cui lo avevamo conosciuto e salutato ne Le notti di Salem;

· lo stesso vale per Ted Brautigan, capo dei Frangitori, protagonista principale della prima storia di Cuori in Atlantide (al termine della quale viene ritrovato e rapito dai suoi inseguitori, gli ‘uomini-bassi in soprabito giallo’, proprio per essere riportato al suo lavoro forzato di distruggere i Vettori);

· Patrick Danville, che ha il potere di far manifestare nella realtà quello che disegna, aiuta Roland a liberarsi del Re Rosso: ebbene il fine ultimo della storia narrata in un altro kolossal kinghiano, Insomnia, era proprio salvare Patrick perché potesse passare nel mondo del pistolero e contribuire alla missione di salvare l’universo dal caos con l’apporto delle sue doti.

E tanti, tantissimi altri richiami e rimandi di ogni tipo disseminati in moltissimi classici di King indimenticabili per i fan: Il talismano, La casa del buio, Gli occhi del drago, Rose Madder, Desperation, I vendicatori, Buick 8, Tutto è fatidico, ecc.



6. Il potere della scrittura, il potere della parola


Quello che fa di Stephen King uno scrittore tanto amato e popolare nonostante venga tacciato di scrivere romanzi estremamente commerciali è la possibilità che ci concede di leggere tutte le sue storie a diversi livelli di profondità interpretativa. Questo lo rende un esperto conoscitore dell’uso simbolico della scrittura in molteplici stratificazioni sovrapposte, quindi un autore di mitologia a tutti gli effetti, per come la vedo io.

In particolare, come lui stesso ha dichiarato in diverse interviste, non sono pochi i casi in cui le sue storie possono essere lette come precise metafore dell’arte stessa della scrittura.

Tanto per cominciare tutti i poteri psichici dei suoi personaggi, che in questo senso sono tutti possibili Frangitori, sono interpretabili come marce in più, caratteristiche che gli altri, i ‘normali’, non possiedono: dunque creatività, capacità di ragionamento fuori dagli schemi, visioni su uno o più mondi altri, e via dicendo; insomma, proprio come gli artisti e nello specifico gli scrittori.

Nel romanzo di King La metà oscurail riferimento è esplicito: lo pseudonimo di uno scrittore, l’autore delle sue cose ‘migliori’, prende vita – chiaro riferimento autobiografico a Richard Bachman, lo pseudonimo sotto cui King ha pubblicato alcuni romanzi ‘minori’ e sperimentali particolarmente interessanti ma anche particolarmente deviati.

Ma gli esempi di metafore del potere infinito della fantasia e della creatività, in tutte le sue accezioni positive e negative, sono presenti ovunque nella bibliografia kinghiana.

· Il word processor degli dei, racconto contenuto nella raccolta Scheletri, in cui ciò che lo scrittore digita nel suo word processor appare anche nel mondo reale e viceversa ciò che lui vi cancella scompare (un’abilità identica ai disegni di Patrick Danville in Insomnia e nella Torre Nera);

· l’emporio ‘Cose preziose’ gestito da Leland Gaunt, una fucina di risorse, leggi anche ‘idee’, che però chiede in cambio un prezzo, analogamente ai ‘Tommyknockers’;

· il Talismano dell’omonimo romanzo scritto a quattro mani con Peter Straub;

· la riserva di idee malvage, immagine di una creatività volta al male, che è il bagagliaio dell’auto di Buick 8;

· la ‘pozza’ psichica dove si reca lo scrittore protagonista de La storia di Lisey;

· la scatola del recente racconto La scatola dei bottoni di Gwendy.

E ancora: i Langolieri che cancellano il mondo del passato come la gomma o il cursore del computer cancellano una storia o parte di essa per riscriverla a piacimento; il viaggio di Rose Madder all’interno del quadro; la porta per ‘correggere’ il passato nel grande romanzo 22/11/63. Tutto, o quasi, può essere letto come metafora del grande potere della scrittura e delle energie che riesce a scatenare.

Ora, se con queste energie i Vettori possono essere distrutti, è lecito come minimo ipotizzare che delle stesse energie, o comunque di energie simili, essi siano costituiti. Questo vorrebbe dire due cose molto interessanti, nella mia personale lettura del ‘mito’ della Torre Nera: che la creatività e la fantasia umana contribuiscono a tenere in piedi l’universo, e inoltre che se usate nel modo sbagliato – come nel caso dei Frangitori – possono facilmente arrivare a distruggerlo e precipitarlo nel caos.

Attraverso la sua arte, quella della parola, lo scrittore ha l’immenso potere di creare un mondo reale a tutti gli effetti, che può dunque anche sfuggirgli di mano. E lo fa. Tant’è vero che nella saga della Torre Nera Stephen King inserisce tra i protagonisti anche se stesso in carne e ossa (altro particolare che ho apprezzato in un secondo momento), e i suoi personaggi si ritrovano a dover dedicare parte della loro missione e in più di un caso anche a donare la vita per salvare quella del proprio ‘creatore’ (parola che ho messo tra virgolette perché rimanda evidentemente a un ulteriore possibile livello di lettura).

Il potere della scrittura è collegato a quello della parola, e quello della parola alla creazione della realtà. Il pensiero – che almeno in parte è di sicuro fatto di parola – genera e/o ha influenza sulla realtà, sostiene la fisica moderna. La creazione è strettamente connessa alle lettere dell’alfabeto ebraico e a quelle scritte nei testi biblici, sostiene la sapienza mistica ed esoterica della Kabbalah. Quando la divinità crea, i testi antichi ci raccontano che “Dio disse”, non che fece. E guarda caso il prologo del Vangelo di Giovanni, quello asinottico dei quattro e per certi versi il più interessante, comincia col celebre incipit: “In principio era il Verbo.”

Ogni cosa insomma è collegata al potere della parola. Ogni cosa.

È interessante sottolineare, in conclusione, come chi nel mondo odierno ha il potere creativo e creatore della parola è sì lo scrittore, e per estensione l’artista, ma anche il cantante con le sue canzoni, o il politico, o il giornalista; per non parlare poi di chi gestisce o censura i miliardi di canali attraverso cui altrettante informazioni vengono condivise, per attendibili o meno che siano, ogni istante su Internet. Ma questo è un altro discorso.

La Torre Nera stessa, dunque, è per me immagine del potere collegato alla scrittura. Roland attraverso di essa può tornare indietro, ricominciare da zero, come nuovo. Può intraprendere il proprio viaggio da capo, senza più neppure le ferite né le dita mancanti della mano, e tentare di scrivere una storia differente, appunto di ri-scrivere la propria vita, la propria intera esistenza, non commettendo per l’ennesima volta gli stessi errori.

Il potere della scrittura, della creatività, della mente, consente di modificare persino ciò che per definizione si tende a credere immodificabile, ossia il passato (che ‘non vuole’ essere cambiato, ci ricorda King nel suo romanzo sul presidente Kennedy, e si opporrà con tutte le sue forze, ma questo non significa che sia impossibile). E cambiando il passato è chiaro che possiamo cambiare anche tutto il resto.

In buona sostanza, correggendo il passato tutti noi possiamo rileggere il presente eriscrivere un futuro diverso da quello previsto e in quanto tale ritenuto ineluttabile.

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