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CALAMITA COSMICA

  • Immagine del redattore: Milo
    Milo
  • 16 set 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Per l’ennesima volta incontro lo splendore nei luoghi più imprevisti. Ma lo stupore ama nascondersi, o non sarebbe stupore – diranno tutti. Be’, la cosa è ovvia ma non così semplice – dico io. Lo stupore è anche negli occhi. E nell’anima dei bambini.

Così, dopo aver visitato la bellezza di Palazzo Trinci e aver assaggiato la deliziosa Rocciata – dolce tipico del posto di cui ho adorato il nome prima ancora di addentarlo – Foligno mi cattura con una cosa che io personalmente non immaginavo esistesse né tantomeno che l’avrei trovata questa domenica pomeriggio in questa cittadina di provincia.

Ma la vita è così. Pensi di averle viste e sentite tutte, quando poi ti ritrovi uno scheletro gigante di uomo sdraiato sul pavimento di una chiesa sconsacrata. Con un naso (osseo) da uccello e un’asta di ferro dorata tenuta in equilibrio sulla punta del dito medio (osseo) della mano destra (ossea). Lungo ventiquattro metri, largo nove, alto quattro.

La (ex) chiesa è quella della Santissima Trinità in Annunziata. L’arte è contemporanea, ma non solo. E la scultura, realizzata da Gino De Dominicis esattamente trent’anni fa, porta il titolo profetico ed esoterico di Calamita Cosmica.

Pare che l’autore la realizzò, nel 1988, in gran segreto. E in un certo senso in gran segreto è adesso conservata e in gran segreto mi è stata rivelata. O almeno così mi piace pensare. In fondo avevo chiesto informazioni in un bar riguardo a tutt’altro e mi è stato raccomandato: però in fondo alla strada c’è questa cosa pazzesca, vale la pena andare a vederla…

Superata la fase infantile di girare intorno al mastodontico scheletro e poi salire al piano di sopra per ammirarlo e fotografarlo dall’alto, comincio a capire che c’è qualcosa di più. C’è sempre qualcosa di più. Il poema dell’universo è sempre lo stesso, ma a ogni livello a cui è scritto le lettere aumentano di dimensioni e di luminosità, e si scoprono nuove lettere tra le lettere e che sistemando le pagine in un certo modo viene fuori un disegno o una costellazione. Ecco perché a volte bisogna sistemarsi davvero lontano per vederlo, e anche in quel caso è facile che non si riesca a distinguere – lasciamo stare poi capire.



Lo scheletro e tutte le ossa sono riprodotti con fedeltà e accuratezza sconcertanti, tranne il naso. Il naso è curvo e adunco, proprio come un becco di uccello. A me ricorda la maschera dell’abito della peste, senza ombra di dubbio, ma pare sia lì perché De Dominicis era appassionato di antiche divinità; e quelle, si sa, erano tutte più o meno zoomorfe.

E allora il passo è di nuovo breve.

La morte (lo scheletro) e il ferro/oro dell’asta sono la calamita cosmica, sono ancora processo alchemico da rozzo metallo a splendore interiore, magari riuscirci in una vita. E la calamita attrae l’energia dell’universo intero e la restituisce ad esso in un sistema chiuso e interconnesso, lo scheletro è gigante proprio come i giganti che camminavano sulla terra tanto tempo fa (forse, chissà), penso ai Sumeri e agli Anunnaki, e il becco di uccello parla di antico Egitto, e di nuovo tutto torna sempre da dove è partito, solo che oggi, terzo millennio ed era astronomica dell’Acquario entrante, se ne parla molto di più.

Siamo attorno alla verità e al cambiamento e Internet, di cui si dice spesso così male, ci permette di saperne qualcosa in più, ad averne voglia abbastanza – che il tempo non manca mai. Tutto questo il mio viaggio attraverso Marche e Umbria non ha fatto altro che permettermi di sentirlo ancora più forte e ancora più da vicino.

Tutto, dalla natura alle abbazie, dall’ascesi alla letteratura, dalle pale d’altare trecentesche fino all’arte contemporanea e pagana, tutto, persino le religioni, così diverse tra loro e che si fanno la guerra a vicenda per motivi che tutti sanno, è scritto con lo stesso linguaggio. Quello dell’universo. E non c’è da capire. C’è solo da sentire e lasciarsi trascinare, o dovrei dire attrarre, dalla calamita cosmica.



Gino De Dominicis non ha mai ufficialmente spiegato questa sua opera. Ma certo. Perché avrebbe dovuto? Sapeva che non ha alcun senso o utilità. Cosa può dirti chiunque, se non l’hai ancora capito da te guardando uno scheletro gigante che tiene sul dito un’asta di ferro dorato che lo mette in comunicazione con il cosmo intero? Cosa possono aggiungere le parole, così limitate, se non danni e fraintendimenti?

È meraviglioso e strabiliante così. E io, chi mi legge da un po’ l’avrà capito, uso sempre questi sei o sette aggettivi – tra cui non mancano mai gli infantilismi tipo bello, bellissimo, fantastico e superlativo, un linguaggio quasi fumettistico direi – per sottolineare l’entusiasmo bambino che provo e che cerco di continuare a tenere vivo, finché mi riesce.

Allora tutti dovrebbero andare a vedere di persona la Calamita Cosmica a Foligno, Umbria. E il fatto che sia conservata in una ex-chiesa completa il quadro in maniera quanto mai appropriata. Nel senso che gli uomini, dico tanto per dire, potrebbero tentare di volersi bene – altro termine tecnico scelto appositamente – anche al di là di strutture che gli spieghino come e quando e se e perché farlo. Così, senza pensare.

Uno scheletro gigante col becco da uccello come degna conclusione di un tuffo fuori dal tempo degli uomini e dentro se stessi… chi l’avrebbe mai immaginato?



© Maurilio Di Stefano, 2018

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