LEGGERE PESSOA A LISBONA (3)
- Milo
- 5 ott 2018
- Tempo di lettura: 4 min
LEGGERE PESSOA A LISBONA: I MIEI APPUNTI DI VIAGGIO E LA SUA BELLISSIMA POESIA
“…il suono del primo tram è come un fiammifero che illumina il buio dell’anima, e i passi alti del primo passante sono la realtà concreta che mi esorta con voce amichevole a non essere così.”
Nella passeggiata verso Belem si ha l’occasione di dare un’occhiata con un solo sguardo a un ponte identico al Golden Gate di San Francisco e a una statua identica al Cristo Redentore di Rio de Janeiro.
È come se Lisbona fosse il terzo vertice di un triangolo che attraversa l’Oceano Atlantico – al centro geometrico del quale sorgerebbe Atlantide, è chiaro – che fa da riunione e sintesi tra l’Europa e le due Americhe.
Utopia.
Un puro sogno di pace ed equilibrio trasversale a quasi metà del pianeta.
Ma è lo stesso un bel pensiero, così continuo a pensarlo mentre cammino baciato dal sole che si riflette nel Tago. Chissà che l’universo non ascolti e le intuizioni che chiamiamo preghiere non vibrino così violentemente da diventare vere, una volta tanto.
Giorno 3, ore 9.18 – Riva del fiume Tago

“Non mi preoccupo delle rime. Raramente ci sono due alberi uguali, l’uno accanto all’altro.”
C’è necessariamente qualcosa di vero attorno a questa storia delle cattedrali antiche e dei segreti che contengono, segreti riguardanti l’uomo, la pietra e il cuore.
La grandezza dei templi che tenta di ricalcare quella dell’anima.
Il fascino dell’idea che l’arte di erigerli sia stata rivelata agli antichi dalle divinità in persona, o non si spiegherebbero la sapienza e la capacità di creare imperi millenari in spazi così ristretti e con mezzi così miseri.
C’è un oltre.
È in ogni tempio, di ogni religione e culto o laico che sia, reale o immaginario, privato o condiviso. È negli occhi e nella mente di ogni uomo che mette o abbia mai messo piede sulla terra. È l’immensità del sentire interiore tradotta in architettura.
Gli animali non costruiscono tane così grandiose, ma loro hanno ricevuto alla creazione il santo dono della semplicità. L’uomo no.
L’uomo smetterebbe la sua complessità come un vecchio abito, se ne fosse in grado. Ma non ce la fa.
Può darsi che sia un errore, e di certo alcune delle conseguenze sono catastrofiche; ma in tutto quell’oltre c’è troppa verità e bellezza perché chi nasce sensibile possa restare indifferente.
Giorno 3, ore 11.33 – Monastero dos Jerònimos

“Ero un poeta animato dalla filosofia, non un filosofo con facoltà poetiche. Amavo ammirare la bellezza delle cose, scoprire nell’impercettibile, attraverso le cose insignificanti, l’anima poetica dell’universo.”
C’è qualcosa di vagamente mistico nel sedere a consumare un buon pasto da solo in un ristorante e completarlo ovviamente con un dolce.
Si medita.
Si gode di ogni boccone e si assapora ogni gusto senza distrazione, senza rumore di fondo, senza fretta.
Non c’è necessità di bere o mangiare troppo per sopportare certe vuote conversazioni.
Si prova una gratitudine inattesa che dà le vertigini. Per chi ha preparato il cibo, per chi te lo ha servito, per la fortuna che hai di poterlo pagare.
È un’esperienza che un artista, e ogni uomo in generale, dovrebbe concedersi ogni tanto e fermarsi a rifletterci su.
E c’è poi qualcosa di vagamente mitico nello scrivere al tavolino mentre si sorseggia il caffè.
Ricorda qualcosa di più antico e in qualche modo europeo, non so: Sartre, Hemingway, ovviamente Pessoa, e mille altri.
È qualcosa che uno scrittore, e ogni uomo in generale, dovrebbe concedersi più spesso, e fermarsi a capire alcune cose che sono lì, a portata di mano, se solo si vuole.
Poco importa cosa poi ne scriva.
A chi importa davvero?
A lui no di certo.
Giorno 3, ore 13.56 – Ristorante ‘Caseiro’, Belem

“Vivere è appartenere a un altro.”
Bilancio del terzo e ultimo giorno.
Non è stata davvero una vacanza. La posso anche chiamare così, parlandone, ma in questo momento non avevo realmente bisogno di una vacanza.
È stato davvero un viaggio: solitario, personale, artistico, meditativo, riflessivo, emotivo, emozionale, introspettivo.
Ma soprattutto: riconciliatorio.
Per riconciliarsi di cosa e con chi? Ma di tutto e con tutto.
Una cosa però è vera: non mi ero reso conto di quando ne avessi bisogno fino a questo pomeriggio, mentre mi lasciavo cullare dalla metro che mi riportava in aeroporto e cercavo di non pensare alle gambe doloranti per le migliaia di passi tra le salite e le discese portoghesi. Come se poi le salite e le discese fossero due cose diverse.
Verrebbe quasi da pensare che per un bisogno del genere qualsiasi città sarebbe andata bene, come dire fa lo stesso. Eppure questo non è affatto vero. Porterò Lisbona sempre nel cuore proprio perché è lei, lei e ora, ora con me.
Parliamoci chiaro, il paradosso è evidente: alla fine ho deciso per Lisbona al 97% a causa di tutti i libri di Saramago letti in questi anni, e poi per quasi settantadue ore mi sono ritrovato a percorrerla braccio a braccio con Pessoa. Eppure è così che doveva andare. È stato strabiliante averlo come colonna sonora dell’intero viaggio; tecnicamente ho solo letto le sue parole, eppure sentivo la sua voce forte e chiara proprio al centro della testa.
E adesso?
Adesso che è ora di ripartire mi sento più sperso e smarrito di prima. E va bene così. Tutto è o diventa iniziazione e miglioramento per chi ha intenzione di fare della propria vita, in un modo o nell’altro, un’opera d’arte.
Quelle scritte qui non sono certo tutte le parole. Altre ne arriveranno rivedendo le foto, ricordando, ripensando, rivivendo. Altre invece non arriveranno mai, ma ciò non vuol dire che non esistano. Pessoa sarebbe d’accordo, lo so.
Voglio chiudere proprio così, con una dissolvenza sulla mia mano che poche ore fa accarezzava la sua tomba (sua e di tutte le sue personalità, è chiaro) nel chiostro del Monastero dos Jerònimos. Questo sì che è un ricordo che terrò sempre caro nel cuore, in un piccolo posto speciale riservato ai momenti in cui ci si avvicina pericolosamente a se stessi. Che quando succede, succede sempre perdendosi.
Per questo ho voluto intrecciare tutti i miei appunti di viaggio alle parole di Pessoa, nonostante siano parole che non fanno che smarrire, destabilizzare e sconvolgere. Ma in fondo, cosa ci si poteva aspettare da uno che faceva di cognome “Persona”…
“Posso abbandonarmi alla vita,
posso dormire,
posso ignorarmi…”
Fernando Pessoa

© Maurilio Di Stefano, 2018
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