LEGGERE PESSOA A LISBONA (2)
- Milo
- 4 ott 2018
- Tempo di lettura: 4 min
LEGGERE PESSOA A LISBONA: I MIEI APPUNTI DI VIAGGIO E LA SUA BELLISSIMA POESIA
“O salso mare, quanto del tuo sale sono lacrime del Portogallo!”
Leggere Pessoa sulla panchina di un parco nel cuore di Lisbona che affonda nel cuore dell’autunno atlantico e portoghese.
Poche anime passeggiano, un uomo da solo con un cagnolino al guinzaglio, un altro che fa ginnastica a corpo libero sul palco abbandonato della banda.
Le poche voci che parlano lo fanno secondo l’ascensore intonato che è l’accento del posto. Leggere Pessoa e immaginare lo stesso identico accento nei suoi languidi silenzi non scritti.
Un uomo dalla pelle scura rastrella dall’asfalto tonnellate di migliaia di cadaveri di fiori rosa piovuti a terra per il vento di ottobre.
Fiori morti, e noi in attesa.
Io scrivo queste parole sul mio taccuino, l’uomo ignora me e io ignoro lui, ma abbiamo come territorio comune il suono ipnotico del suo rastrello che raschia l’asfalto a colpi regolari di pettine.
Basta un niente a far crollare ogni barriera linguistica e condividere la stessa poesia.
Leggere Pessoa nell’ombra fredda dai brividi stranieri degli angoli autunnali più distanti dalla luce.
Tentare di salvare tutto il salvabile, anche quando è chiaro che persino l’inchiostro finirà e nulla sopravvivrà al sole.
Mi chiedo: quanto a lungo si può resistere prima che la bellezza soccomba alla stanchezza?
Mi rispondo: non lo so.
Ma oggi è ancora uno di quei giorni in cui ho strade da percorrere, sguardi da imparare e tanti figli che mi aspettano.
Giorno 2, ore 9.56 – Jardim de Estrela

“Sì, scrivere significa perdermi, ma tutti si perdono, perché tutto è perdita.”
E uscire dal viaggio fuori dal tempo e dentro il colore del Museo Nazionale di Arte Antica.
Hyeronimus Bosch.
Visto dal vivo – dal vero.
Lui che aveva visto dal vivo – dal vero – le cose che ritraeva, io ne sono certo.
Non riesco a smettere di pensare all’immagine sconvolgente dipinta in questo suo Trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, l’immagine di un uomo che ha soli testa e gambe, un corpo contratto su se stesso: è o non è la rappresentazione in figura umana di un ponte di Einstein-Rose, di un wormhole, di un cunicolo spazio-temporale?
Ma certo che lo è.
Bosch aveva visto dal vivo – dal vero – tutte le cose che dipingeva, una per una.
Io ne sono certo.
Giorno 2, ore 12.07 – Museo Nacional de Arte Antiga

“Guarda da lontano la vita, senza mai interrogarla.”
Convento dei Cardi, meta non prevista, nome dai fiori blu.
Qui un’anziana signora tedesca – che vive in Portogallo e parla in Inglese a me che sono italiano – mi guida attraverso statue di santi, cuori in fiamme e smisurati d’amore incontenibile per il dio in cui credono. E piastrelle olandesi blu con tanti spazi bianchi e piastrelle portoghesi blu senza quasi spazi bianchi.
Arte barocca, sculture in legno antiche e stupende ma divorate dai tarli, mobili di vecchie famiglie benestanti le cui giovani figlie donavano al convento per potere essere accettate come monache carmelitane e spesso e volentieri sfuggire a un matrimonio imposto e non gradito. Non a caso una volta presi i voti si cambiava nome.
Poi la clausura, la meditazione, nessun contatto con l’esterno. Una finestrella per ricevere l’ostia, una ruotina di legno da cui prendere i panni sporchi del prete e rimetterceli lavati, un’altra per ricevere cibo o lettere dai familiari quando la campana suonava.
Quanta ritualità, quanto ritmo di musica sorda in quante vite spese nel silenzio, nel rimpianto, nell’estasi, in qualsiasi cosa che noi quattrocento anni dopo non possiamo nemmeno immaginare, noi del cinema 3D, dello smartphone e dell’Armageddon.
Infine passeggiare nel chiostro sopra ossa di altre suore, sepolte senza nome né croce, solo un numero per poter eventualmente consultare gli archivi, inumate nella nuda terra avvolte solo da un panno.
Alla fine tutto, che piaccia o no, finisce con una camminata sulle ossa altrui, passi leggeri sulla bella terra dalla quale anonimi siamo venuti fuori e alla quale anonimi torneremo, indipendentemente da tutti i nomi che abbiamo portato quando ci fu concesso di dire Io.
Giorno 2, ore 16.34 – Miradouro Sao Pedro de Alcantara

“Non so di chi ricordo il mio passato,
poiché fui altro quando lo fui,
né mi conosco,
come se sentissi l’anima che ho,
l’anima che sentendo ricordo.”
È stato fantastico ed emozionante scoprire Pessoa qui, così.
Comincio a pensare che, soprattutto quando si tratta di poeti, sia molto più bello andare a conoscerli in casa loro. Leggere le stesse parole a casa mia sul divano non potrà mai avere lo stesso impatto sull’interiorità, è escluso.
Mi diranno: “Non lo conoscevi neppure, o quasi, fino all’altro ieri, e adesso è diventato uno dei tuoi poeti preferiti solo perché te lo sei letto qui a Lisbona?”
Precisamente!
C’è un motivo se, con tante opportunità che ho avuto di leggere le sue parole, è accaduto soltanto adesso. Non è casuale neppure che abbia scelto proprio Lisbona per intraprendere questo nuovo viaggio nel viaggio, e che Pessoa parli di argomenti che mi sento così vicini.
Perdersi in queste strade in due, senza che io possa fare per lui neppure la metà di quanto lui faccia per me, è in ogni caso un pensiero confortante.
Giorno 2, ore 17.05 – Miradouro Sao Pedro de Alcantara

“Ho viaggiato leghe d’ombra entro il mio pensiero.”
Bilancio del secondo giorno.
Ogni passo che muovo in questo viaggio è un’occasione di crescita interiore.
Ho ritagliato questi tre giorni secondo una silhouette che è a metà tra ciò che sono oggi e ciò che sto diventando.
Una duramente guadagnata solitudine.
Nessuna ansia di fare troppo o fare tutto.
Godere del tempo lento con ritmi del tutto nuovi, da vecchio scrittore, facendo finta di essere già riuscito a farne un mestiere.
Tanta arte, tante parole, altrettanti silenzi.
Poggiare i piedi non più a terra ma fuori dal mondo e dentro me stesso.
E così sia.
Giorno 2, ore 19.20 – In stanza d’albergo
© Maurilio Di Stefano, 2018
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