MINUSCOLO SPAZIO VOCALE
- Milo
- 7 mag 2017
- Tempo di lettura: 5 min
MINUSCOLO SPAZIO VOCALE –
LIVE @ BIG MAMA
Chi comincerebbe un pezzo su un ensemble vocale scrivendo di quando non cantano? Di sicuro il Sottoscritto – ma voi chiamatemi Milo – dato che stanotte ho avuto il privilegio di accompagnarmi a questi dodici (più uno) musicisti dal sound-check al back-stage, dal pre al post, da quando erano ancora ugole da scaldare fino a quando scendevano dal palco tra gli applausi e i cocktail.
L’uso della parola ‘musicisti’ non è casuale, perché anche se si parla di un gruppo di artisti che non utilizzano nessuno strumento musicale chiamarli solo cantanti sarebbe riduttivo, e di sicuro quello che viene fuori mentre li si ascolta non è l’idea di un coro, se mai di un’orchestra.
Volendo rubare dieci secondi allo scorrere naturale delle parole e fare le dovute presentazioni dei due protagonisti senza i quali questo evento non avrebbe mai preso forma: il Minuscolo Spazio Vocale è un ensemble vocale a cappella composto da sei voci maschili e sei femminili (12) che vengono guidate e coordinate e molto altro ancora dal direttore, vocalist aggiuntivo, solista occasionale, showman distratto e cabarettista improvvisato Dodo Versino (+1); il Big Mama invece, è la Home of Blues in Roma, club per musica live – di nicchia ma non molto e di qualità ma proprio tanto – che dal 1984 opera nel cuore di tutto ciò che vi viene in mente quando sentite gli aggettivi romano, capitolino, trasteverino, e via dicendo passando per Colossei Vaticani e Lupe.
Dicevamo.
Sistemati i microfoni, regolate le luci, provata l’acustica, aggiustate altre due o tre cosette, ora eccoli qua, davanti ai miei occhi nel tempo immobile che precede lo spettacolo durante il quale si attende l’apertura delle porte al pubblico: per ora nient’altro che cellule in embrione, lo spettacolo affascinante del prima e del non ancora, l’accordatura e la sintonizzazione, i gesti caotici e divertenti di dodici corpi (più uno) che si preparano a diventare una sola voce.
Chi si veste, chi si sveste, chi rilegge i testi, chi non li rilegge perché li ha già letti troppe volte, chi non li rilegge perché lui/lei non rilegge mai, chi mangia, chi beve, chi fa stretching, chi non può fare a meno di cantare, chi non fa che scherzare, chi si raggruppa a grappoli di due o tre per ripassare qualche armonizzazione.
Si può sperimentare persino il gusto e l’ebbrezza di sentir provare le voci intermedie, quelle che a sentirle non riconosci neppure la melodia principale, un po’ svegliarsi al mattino e voler sentire solo la parte delle viole in un’orchestra sinfonica: dico, quando mai vi capita? Ma è quello il prodigio del corpo, dell’amalgama, l’accosto alla struttura tra gli atomi delle cose che nessuno può vedere ma senza la quale le cose non hanno forma. Un po’ come il basso nei gruppi rock, le viti della torre Eiffel, o i sassetti che gli scoiattoli fanno rotolare per noia giù nel Grand Canyon.
Poi è l’ora dello spettacolo, il club è pieno, cravatte, foulard e abiti lunghi si alternano a risatine e grazie per essere venuti, e se una qualche tensione c'è la si vede scivolare via in qualche falsetto o scaricarsi a terra attraverso il metallo biforcuto di un piccolo diapason tascabile sfuggito di mano.
Se prima erano cellule in embrione disposte in ordine sparso e all’apparenza neppure troppo somiglianti tra loro, una volta sul palco diventano un organismo coerente e bellissimo: quasi vedi le mani, la testa, i piedi, e distingui chiaramente, anche se si parla di musica, chi è la pelle, chi il torace e la risonanza, chi il cuore che pulsa, chi il cervello che pensa, chi le ossa all’interno delle quali ogni altra voce riverbera.
Sull’esibizione si può dire solo che non si può dire nulla. Dei quasi venti brani presentati nei due tempi in cui lo spettacolo si articola è impossibile trovarne uno preferito. Si alternano con equilibrio invidiabile eleganza e scherzo, profondità e civetteria, l’amore quello dolente e l’amore quello sexy, Sister Act e il Quartetto Cetra, beatboxing e folk, colonna sonora e musica sacra.
Ed è proprio questo il bello, non riducibile alla semplice varietà del repertorio: la verità è che questo “dodicetto” (più uno, non scordate mai il più uno) è riuscito stasera a mescolare tempo e spazio in un’atmosfera incantevole a dimensione unica, così che ha perfettamente senso saltare dal ‘500 agli Stati Uniti, dalla Scozia agli anni Cinquanta, dalla Francia ai Novanta, dal Barocco alla Catalogna, dalla Sardegna al cinema.
Ma non è tutto così serioso e intenso, badate bene, come negli occhi rapiti di chi qui scrive; c’è anche una componente piuttosto importante di quel che senza peli sulla lingua ascriviamo all’area semantica del puro Cazzeggio, quello nonsense, legittimo, giustificato e persino necessario quando la qualità della performance è così eccellente, perché eccellente lo è stata senza dubbio dall’inizio alla fine e passando per tutte le note: non una che fosse stonata o una che fosse troppo lenta né uno schiocco di dita o battito di mani che fosse in ritardo o fuori posto, niente di niente se non un meraviglioso tutto.
E tutto, ecco, senza bisogno d’aiuto da parte di un solo strumento musicale che fosse uno. Del resto la musica è quasi l’unica cosa che gli uomini possono fare senza l’aiuto di nulla, nudi e indifesi, che basta un corpo e un’anima e funziona anche se nessuno ascolta e non ha neppure un suo contrario, visto che il rumore ne è parte integrante tanto quanto il silenzio. Volendo ce ne sarebbe anche un’altra che si può fare nudi e indifesi, ossia l’amore, ma quello al contrario della musica o si fa in due o non dà frutto, e poi anche quello è incluso per forza di cose nella musica anche se non è necessariamente vero il contrario.
Di certo non sono mancate le coincidenze, per chi ci crede: quelle linguistiche, visto che il suo esordio su un palco famoso e con questa formazione il Minuscolo Spazio Vocale, che è piccolo e maschio, lo ha avuto in un locale che si chiama Big Mama, che è grande e femmina; e quelle che per gioco chiamerò evangeliche, visto che stasera a cena erano in dodici più uno ad allietarci, ed era anche giovedì, e il club è in piedi esattamente da trentatré anni (qui potete aggiungere un’emoticon a piacere).
Ma al di là di tutto, gioco o non gioco, meraviglia o non meraviglia, la realtà è che questi musicisti di minuscolo non hanno proprio nulla, sono invece grandi, grandissimi, quindi andateveli a cercare sui social e su tutte le piattaforme Internet, per favore, e spendete almeno un clic per la loro pagina e qualche minuto per i loro video.
Anzi, prima di tacere vi dirò di più: se siete amanti degli acronimi e volete ricordarlo meglio, accanto a USA, INPS e BCE stasera aggiungete MSV, Minuscolo Spazio Vocale, visto che di spazio tempo e memoria per cose che non hanno un’anima ne troviamo sempre e poi lasciamo scivolare nel fiume le perle solo per il gusto di poterci lamentare col mare quando a valle se le inghiotte.
© Maurilio Di Stefano, 2017
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