top of page

TUTTI SIAMO HARRY POTTER

  • Immagine del redattore: Milo
    Milo
  • 8 nov 2017
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 18 gen 2019

Questa piccolissima e forse irrilevante riflessione mi è stata ispirata dalla famosa battuta su Indiana Jones contenuta in un episodio di The Big Bang Theory. Che poi non è una battuta ma una critica quasi inconfutabile, infatti ha fatto furore e scalpore. Ma sì, quella per cui il personaggio di Indiana Jones nel suo primo film (1981) è totalmente irrilevante ai fini dello svolgimento della trama. Senza di lui i nazisti avrebbero lo stesso trovato l’Arca e fatto tutto quello che fanno nel film, eccetera eccetera. Cosa del resto sostenuta dal dettaglio che il film si intitola in Inglese “Raiders of the lost ark” e non “Indiana Jones and bla bla bla…”

La cosa per qualche ragione mi ha fatto pensare a Harry Potter, i cui film sono il doppio di quelli su Indiana Jones e il cui nome non manca in nessuno degli otto titoli, così come non manca in quelli dei sette libri. Traslando il discorso di The Big Bang Theory a Harry Potter ho scoperto qualcosa di interessante, che assomiglia alla critica fatta a I predatori dell’arca perduta ma non è la stessa cosa, anzi è la sua versione riveduta e aggiornata in chiave meno distruttiva.

Ora, l’analisi esoterica, simbolica e alchemica di Harry Potter è un’impresa nella quale non mi lancerei mai. Sono così tanti i riferimenti che si dovrebbe scrivere un’altra saga di libri, per non parlare di tutti i richiami nascosti che da appassionato ma non esperto conoscitore della materia neppure riuscirei a scovare. E sarebbe forse anche un po’ inutile, perché parecchi sono davvero in evidenza.

Basta scorrere velocemente i titoli dei libri/film e certi punti salienti delle trame: il primo libro ha nel titolo nientemeno che la pietra filosofale, poi ci sono ovunque prove da superare ed enigmi da risolvere, scacchiere, pozioni, camere segrete, un serpente, un prigioniero, un calice, una fenice, un mezzosangue e infine, ovviamente, la morte.

In mezzo a tutto questo caverne, alberi, crescita, iniziazione, creature appartenenti a varie mitologie, elfi, centauri, draghi, saette, e gli stessi mezzosangue che ricordano i semidei, gli eroi greci.

Poi i nomi: nomi di stelle di costellazioni, Sirius che è la stella più luminosa del cielo, Bellatrix che non a caso fa parte di Orione (ma qui si aprirebbe un discorso davvero enorme), e la parola Horcrux, per cui non so cosa l’autrice avesse in mente ma a me di getto fa venire in mente il dio egizio Horus e la parola latina ‘Crux’ che come tutti sanno significa ‘croce’.

Per non parlare dei nomi dei protagonisti. Gli Americani ci tengono, e ogni nome è un sincretismo continuo tra Occidente e Oriente, tra Anglosassone e Mediterraneo, tra storia moderna e mitologia antica, tra presente e passato.

Prendiamo Harry Potter: un nome moderno, un cognome che vuol dire ‘vasaio’. Ermione Granger: un nome mitologico, un cognome moderno. Albus Dumbledore: un nome latino, un cognome moderno. Ma ce ne sono chissà quante migliaia, basta voltarsi in giro: Indiana Jones (l’India più l’anglosassone); e poi Jason Bourne, Homer Simpson, persino Geronimo Stilton, il topo dei bambini, ha il nome di un nativo americano e il cognome di un formaggio inglese.

Questo perché gli autori hollywoodiani – e anglosassoni in generale – sanno benissimo che a livello inconscio tutti noi occidentali siamo alla ricerca di una sintesi tra Ovest ed Est, tra la razionalità dell’emisfero cerebrale sinistro e l’emotività creativa di quello destro, del ponte di passaggio e di collegamento, dell’Atlantide perduta che era al centro tra le due estremità.

Altrimenti come mai quando nella letteratura o nel cinema si cerca un rifugio, un’ispirazione, un cambio di vita, si torna sempre e solo all’Oriente e mai al Sud o al Nord del mondo? Come mai i ‘maestri’ non sono mai aborigeni neozelandesi, sciamani sudamericani o saggi eschimesi? La risposta è semplice, e non si tratta di discriminazione raziale ma di archetipi mentali. Ma questo è materiale per un altro studio in un’altra sede.

Tornando a Harry Potter, ecco che troviamo il numero sette più o meno ovunque: sette libri, sette anni per sette classi alla scuola di magia di Hogwarts, sette (o sei più uno) Horcrux per sette parti dell’anima del mago oscuro Voldemort.

Come se non bastasse il protagonista fa di cognome Potter, che come ho già accennato se in slang sia britannico che americano indica qualcuno che ama perdere tempo e ‘cazzeggiare’, di base significa nientemeno che ‘vasaio’. Potter che perde entrambi i genitori; leggi anche: il passato. Potter che finisce la sua avventura scoprendo che lui stesso è una parte integrante, indispensabile del processo di distruzione del male e dell’oscurità che minaccia il mondo.

E per finire, ciliegina sulla torta, i colori delle tre (più una) fasi di iniziazione ci sono tutti, piazzati in bella vista nei nomi delle casate della scuola di magia: Corvonero (nigredo), Serpeverde (viriditas), Tassorosso (rubedo) e Grifondoro (il rozzo metallo trasformato in oro, sogno e soprattutto metafora del processo alchemico). È vero, in apparenza manca l’opera al bianco (albedo), ma il protagonista (quasi) principale dopo Harry si chiama Albus, perciò…

Insomma si potrebbe andare avanti per ore, e non escludo che qualcuno l’abbia già fatto e ne abbia scritto in dettaglio; dovrò ricordarmi di controllare.

Ma quel che è venuto in mente a me è altro, e si ricollega alla presunta irrilevanza del protagonista in una storia che in apparenza lo riguarda o comunque ai fini della trama principale.

Di Harry Potter non si può dire la stessa cosa che di Indiana Jones, la storia non sarebbe evoluta affatto allo stesso modo in sua assenza. Però è anche vero che al posto suo avrebbe potuto esserci chiunque altro, unica condizione quella cicatrice sulla fronte.

Siamo onesti, Harry da solo non avrebbe potuto né saputo fare quasi nulla e sarebbe morto a metà del primo libro. Tutti, tutti gli altri personaggi, dal primo all’ultimo, sono sempre lì attorno a lui, pronti ad aiutarlo, a rispettarlo, a proteggerlo, a perdonarlo, a giustificarlo, a sacrificarsi per lui, a calare nelle forme più disparate come divinità ‘ex machina’ per far sì che lui ne venga fuori incolume e possa proseguire la sua missione. Perché la sua missione salverà tutti, è chiaro.

Voglio dire che, sebbene ci possa stare poiché era nata almeno in origine come una saga di libri per bambini, lui da sé riesce a fare poco o nulla. Persino Frodo ne Il signore degli anelli è meno inetto, se mi passate il termine, anche se di fatto poi è Sam che alla fine se lo carica in spalla quando è giunta finalmente l’ora di distruggere l’Unico Anello nel Monte Fato.

Eppure la situazione qui è ben diversa da quella del primo film di Indiana Jones. Perché un personaggio che non fa quasi nulla o non riesce a fare nulla da solo non vuol dire che sia inutile, non se incarna ciò che tutti quanti stanno più o meno consapevolmente contribuendo a creare.

Usando un paragone a tema libero, nessuna singola pietra tiene su una cattedrale da sola, e tantomeno una singola pietra fa una cattedrale, ma una cattedrale è fatta di un miliardo di pietre e ognuna ne è parte strutturale indispensabile. Poi il risultato finale porta il nome di cattedrale (leggi anche: Harry Potter), con la sua estetica, il suo profilo e le sue proporzioni, ma in realtà vista da vicino non è che tantissime piccole pietre accostate e tenute insieme ad arte.

Allora io mi diverto a leggerci dentro un’allegoria dell’umanità, di tutta l’umanità. È una visione positiva, ottimistica, fiduciosa nel movimento armonico delle masse verso lo stesso fine universale di miglioramento – chiamatelo nuova era, chiamatelo salto quantico, chiamatelo mondo migliore o chiamatelo periodo di pace, non importa nulla. È una visione forse persino un po’ hippie (che come parola suona abbastanza simile a un diminutivo ottenuto per contrazione di Harry Potter, ma questa è davvero solo una battuta!) ma ci sarà un motivo se è diventata la seconda saga di libri per numero di copie vendute in tutta la storia dell’editoria e la serie di film più remunerativa della storia di Hollywood – lo dice Wikipedia, non io.

Se fosse davvero immagine della nuova? -moderna?- futura? umanità, non sarebbe tanto male. Un’umanità che in quest’attuale era di Internet mostra tanti segni di rinascita, o per lo meno di voglia di rinascita, ma ha ancora paura. Paura di se stessa direi, perché se si unisse creerebbe una creatura stupenda che sarebbe sì se stessa ma anche più di se stessa, una creatura equivalente a molto più della somma delle sue singole parti.

Non a caso l’idea portante di Harry Potter è quella che i ruoli perno della formazione dell’individuo e della società, ossia la famiglia, la scuola e il lavoro, possano tranquillamente ruotare attorno alla magia. La quale, di nuovo non a caso, nella saga non è un mondo che sostituisce il nostro ma un mondo che si affianca al nostro, che in alcuni casi si sovrappone al nostro e che di certo ne fa parte. In questo senso i Babbani non sarebbero altro che quelli che non vogliono o ancora non riescono a ‘vedere’.

Una concezione che non fa mistero di voler rappresentare l’immagine di una umanità in cui la magia, la creatività, l’inventiva sono un potere reale, tangibile, e plausibilmente a portata di mano di tutti.

Per questo tutti siamo Harry Potter.

Ma non nel senso che ognuno di noi è Harry Potter: nel senso che noi presi tutti insieme siamo Harry Potter, nessuno escluso. Togliamone anche uno solo e la guerra la vincerà Voldemort.

Dunque per rappresentare un’umanità simile, che a me piace vedere al di là di tutto sia nella storia di Harry Potter che nel mondo reale e attuale, la Rowling avrebbe scelto non solo un bambino, ma un bambino mago! Esiste forse simbologia più adatta o immagine più perfetta?


© Maurilio Di Stefano, 2017

Opmerkingen


bottom of page