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UMBRIA E MARCHE: GIORNO 5

  • Immagine del redattore: Milo
    Milo
  • 7 set 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Perugia: Cappella di San Severo con affresco di Raffaello e mostre di Palazzo della Penna


Raffaello non può deludermi. Mai. Ma stavolta non ne parlerò e terrò la bella sensazione tutta per me, da bravo scrittore muto ed egoista.

Come invece capita ogni volta, è l’angolo nascosto e imprevisto che ti si rivela in tutta la sua chiarezza.

Entro a Palazzo della Penna incuriosito dalla mostra dedicata ad Emma Dessau Gaitein. Mi trovo davanti una buona pittrice ma dai soggetti facili, ritratti e paesaggi, che mi colpisce nell’anima solo con ‘La palla d’oro’, un quadro davvero particolare. Una bimba passa o sta per passare una palla d’oro a una donna giovane, a una più matura e a una vecchia che attende seduta. Le espressioni e le pose della figura, che sono la stessa donna nelle quattro stagioni della vita, sono davvero belle.



E ancor più bello è il messaggio che a me piace leggerci: ossia che è la bambina a custodire la palla d’oro, qualsiasi cosa essa voglia dire – vita, gioventù, bellezza, verità, speranza. Il fatto che la passi alle altre non vuol dire che la palla d’oro vada persa, né che questo accada alla bambina se le donne sapranno voltarsi a guardarla. Forse passare la palla d’oro non garantisce che le altre tre donne arriveranno a prenderla, ma il fatto che le quattro donne esistono a prescindere tutte nello stesso tempo al di là del tempo spiega un sacco di cose dell’esistenza che l’umanità attuale ha dimenticato.

Poi però, è scendendo al primo piano interrato dell’elegante edificio che mi trovo davanti la potenza sconcertante – no, gli aggettivi sono squillante e chiassosa – dei quadri in aeropittura del futurista Gerardo Dottori.

Mai sentito nominare prima, lo ammetto. Ed è un peccato. Nel senso che è una rivelazione (già so che acquisterò un libro o due ripassando dal bookshop).

Lì per lì è lo stile a colpirmi, come forse è prevedibile. Le forme, i colori, le vedute in cui la sinuosità della natura si incastra armoniosamente con le linee spezzate della geometria.

Poi ci entro dentro. E i quadri mi parlano. Tutte quelle rette, oblique come tetti spioventi dal cielo, i prismi, le piramidi, le squadre, i mille triangoli irregolari che frammentano le tele come uno specchio irrimediabilmente infranto ma ancora al suo posto, mi suggeriscono una sola parola: pensiero.

È un’epifania, tutta mia senza dubbio e certamente ‘sbagliata’, di arte moderna ne capisco meno che nulla, ma è proprio per questo che mi emoziona e ormai ci sono già affezionato.

Pensiero.

La realtà, la natura, l’universo, non hanno quegli angoli, quegli spigoli. Possono essere calcolati e sono stati generati secondo numeri, rapporti e proporzioni, ovvio, ma non SONO numeri né rapporti né proporzioni. Né tantomeno suddivisioni: la luce è ogni colore, la gamma dei suoni è un’onda continua e ininterrotta come una corda di violino infinita, e i confini le categorie e la separazione tra gli oggetti a livello atomico sono pura invenzione astratta, un’illusione. Pensiero, appunto.



A poter guardare da abbastanza vicino la realtà, fisica e non, tutto è mescolato con tutto. Non ci sono recinti. Quelli li aggiunge il pensiero, che è ansioso di categorizzare, classificare, suddividere e infilare tutto, ma davvero tutto, in cassetti e cassettini precisamente etichettati. E se una cosa va nell’uno è perché non va nell’altro.

Che potrebbe anche reggere, tutto sommato, come discorso; se non altro perché torna utile. Se solo non si dimenticasse l’altro aspetto, continuare a percepire la linea continua al di là delle tacche che ormai la scalfiscono indelebilmente. Quella è una cosa che ci insegnano a disimparare, specie quando siamo presi in blocco in grosse fette di popolazione.

Questo mi racconta Dottori mentre ascolto rapito le sue immagini: l’imposizione del pensiero, delle forme geometriche, della razionalità a qualcosa che per sua natura non ne avrebbe.

Questo vedo nelle opere di Dottori: il ritratto di un pensiero, forse del Pensiero stesso. E questo non può che essere rafforzato dalle suggestioni dell’aeropittura, visto che il cervello/pensiero umano adora mettersi presuntuosamente sopra a tutto, in aria, e a forza di sorvolare e sorvolare si perde gli odori e le escoriazioni della mischia.

Ma in fondo, nelle opere di Dottori, c’è passione, dramma, contraddizione, incoerenza, magma, disconnessione e liquidità. La linea continua sopravvive strenuamente e nessun pensiero imposto riuscirà mai a ottenere il controllo sugli spettri d’acqua, sporca e pulita, che si agitano al di sotto della superficie della nostra esistenza.

Questo mi appare più evidente che mai davanti a ‘Incendio Città’, che non solo mi stordisce e mi inebria a livello visivo, ma sfrutta anche nel titolo quell’espediente di accostare due sostantivi come se uno dei due fungesse da aggettivo – quale dei due non si sa mai – che ho sempre adorato. Proprio come l’Oceano Mare di Baricco, la Forest Room di una canzone dei Red Hot Chili Peppers, e altre decine che ho sentito qua e là negli anni e ora non mi vengono in mente.



Visto? Niente confini, niente recinti, neppure un nome è più solo un nome, o per lo meno non lo è sempre.

Concludo aggiungendo i miei binomi personali per descrivere come mi sono sentito oggi di fronte a questi quadri.

Pensiero Passione.

Colore Luce.

Cosmo Mondo.

Pioggia Cielo.

Uomo Terra.

Morte Stella.




© Maurilio Di Stefano, 2018

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