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UN GIRO IN SICILIA: GIORNO 7

  • Immagine del redattore: Milo
    Milo
  • 4 ago 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Giorno 7

POLVERE DI CONCHIGLIA


“Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’un altipiano d’argille azzurre sul mare africano.”

Mai avrei immaginato che al di là del Pirandello dell’assurdo, della spersonalizzazione e del metateatro di cui ti rimpinzano a scuola ci fosse questo poeta anziano che dipinge con le parole, questo cantore mediterraneo di cui ora visitare la casa poco fuori ‘Girgenti’ è un’emozione indicibile.

Casa natale e, poco più in là, sede dell’ultimo riposo delle sue ceneri. Credo che una vita vissuta così, come un cerchio e non come una linea retta e completamente dedicata allo studio e alle lettere, sia uno dei doni più preziosi che si possano ricevere su questa terra.

Ma chi era davvero quest’uomo? Che si provava a parlarci per una mattina, a prenderci anche solo un caffè insieme?

Adoro da sempre gli artisti profondi e intensi, che immancabilmente risultano poi ricoperti da un potente strato di ossessione. Sono stati quasi tutti così, i grandi: Beethoven, Kafka, Monet e qualche altro migliaio.

Infatti non mi stupisce affatto leggere che quando i giornalisti e i fotografi assaltarono la sua casa romana in Via Bosio dopo l’annuncio ufficiale dell’assegnazione del Nobel – correva l’anno 1934 – Pirandello se ne stava alla macchina da scrivere e batteva freneticamente sempre la stessa parola. (Nessunissima differenza con Jack Nicholson nella famosissima scena dello Shining di Kubrik, questo è evidente).

La stessa, identica parola, che compariva sul foglio per ben ventisette volte: pagliacciate!

Non aggiungo altro.

Le vie di Agrigento mescolano con mano abile e delicata il nuovo e l’antico. Il nome di Pirandello ricorre ancora ed ancora, le vecchie chiese serbano capolavori e misteri nascosti nei loro ventri dalla strabiliante escursione termica, e la coloratissima Via delle Arti rivela quasi per caso la bellezza giovane e dal sapore internazionale della sua scalinata.

Ma è poco fuori città che ha inizio il viaggio letterario, poetico e quasi fantascientifico della incantevole Valle dei Templi.

Sono tanti i posti del mondo da cui non vorresti più andartene, molti meno quelli in cui vorresti anche irrimediabilmente perderti. È chiaro da subito che questo appartiene alla seconda categoria.

La lunga passeggiata si trasforma con disinvoltura in una chiacchierata tra te e il sole, tra te e la luna, tra te e la terra, le rovine, il passato.

Ogni rudere è un portale d’accesso privilegiato a quella zona della mente dove il tempo scorre diversamente o non scorre affatto. “Qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti”, tornando a Pirandello. E al ritorno non puoi che essere diverso.

La tua mano sfiora i corpi bombati e rugosi delle antiche colonne, bozzoli di bachi senza età, i tuoi occhi si posano sui cadaveri stravaccati a terra dei telamoni e delle cariatidi finiti in mille pezzi, il tuo cuore sobbalza quando attraversi l’altro cuore, quello interno ed intimo del tempio, il punto esatto dove una volta sorgeva la statua del dio o della dea, a cui solo i sacerdoti avevano accesso e dove il fuoco non cessava mai di ardere.

Per un attimo diventi tu stesso sacerdote di un culto antico, ancestrale, magnifico, e ti vedi indossare larghe tuniche e sacrificare animali dal pelo candido agli dei olimpi e altri dal pelo più scuro agli dei degli inferi, forte della consapevolezza che entrambe le schiere esistono e che il segreto della vita terrena non è imboccare una via o l’altra ma conciliare le due forze nell’equilibrio più elegante che si possa immaginare. Se c’è un insegnamento che si può trarre dal mondo classico, si sa che è proprio questo.

Poi ritorni al presente, o a ciò che così sei abituato a chiamare. Devi. Perché le cose finiscono e si sa, è così che ti hanno insegnato a pensare. Ma finiscono di fuori, per fortuna: di dentro non smetti mai di portarle con te.

Sono cartigli, papiri inchiostrati e cuciti sulla pelle della mente come tanti tatuaggi. E non ci si poteva aspettare nulla di meno da una valle popolata da pietre millenarie fatte di conchiglie polverizzate.



© Maurilio Di Stefano, 2017

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