UN GIRO IN SICILIA: ULTIMO GIORNO
- Milo
- 11 ago 2017
- Tempo di lettura: 3 min
Giorno 14
L’ISOLA A QUATTRO PUNTE
L’ascesa all’Etna, come ogni ascesa, svuota la mente e purifica l’anima. Ci si sente arricchiti e non si sa da cosa.
Eccomi finalmente all’ombelico rovente del giallo-bruno corpo siciliano, all’occhio del viaggio a forma di spirale con cui ho percorso l’isola come un ciclone. Al fuoco, inteso in tutti i sensi, della ricerca incandescente di me stesso in questa terra e di questa terra in me stesso.
È la fucina del dio greco Efesto, che i Romani, dediti alla guerra più che alla fantasia, avevano ribattezzato Vulcano. È qui che lui colpiva le incudini nel ventre della montagna insieme ai suoi Ciclopi. Come si può non crederci? È una storia così accurata e plausibile. Come si può?
Mi verrebbe da dire che è come essere sulla luna, ma siccome odio le banalità e mi piace vedere sempre le cose da un’altra prospettiva – me l’ha insegnato Robin Williams in quel film lacera-cuore – dirò che qui è come se la luna fosse scesa sulla terra. E lo penso davvero.
Mi tornano alla memoria frammenti fotografici del Teide di Tenerife, che vidi con la mia famiglia a sette o otto anni e a cui non ripensavo da una vita e mezza.
Fuma, il vulcano. Fuma di continuo. È un avvertimento ininterrotto agli uomini. Lo facesse dio, così spesso, probabilmente non ci saremmo dimenticati di lui. O forse lo fa?
Limite di velocità: venti chilometri orari in presenza di sabbia vulcanica sulla strada. Erba gialla su sfondo nero, i colori naturali del pericolo. Eccolo lì il fuoco: distrugge, non fa prigionieri né differenza, eppure è vita.
Man mano che si sale il monte cambia fisionomia, il suo volto non somiglia più a quello del vulcano che si vede nelle cartoline. Ha il collo tozzo, sembra più maestoso, forse più anziano. Chissà se Mosè avrà pensato qualcosa di simile quando è salito sul Sinai. Se leggi ogni avvicinamento come un avvicinamento al centro di te è chiaro che una volta arrivato a sfiorarti col naso non riconosci più nulla. Come guardare i mosaici di Piazza Armerina da una distanza di sei millimetri. Sarebbe solo colore, e solo una minima parte di tutto il colore che c’è. Neppure una traccia di forme o linee. Può fare persino paura. Ma è solo così che si arriva a distinguere il fine tessuto delle cose.
Qui sull’Etna di colore ce n’è davvero tanto. Il nero rugoso delle colate di lava ormai fredde. Il verde delle piante sempreverdi. Il rosso ferroso della roccia di cui i crateri sono ricolmi. Il grigio del fumo, l’azzurro del cielo, il bianco del vento. Eppure, in qualche modo assurdo: fiori. Ogni cosa smette di essere cosa e diventa macchia. Un’enorme tela di Monet a cielo aperto. Sarà l’altitudine.
Se c’è un accesso terreno agli Inferi è qui che deve trovarsi, ecco perché il fuoco non smette mai di colare giù.
Se c’è un accesso terreno all’Empireo è qui che deve trovarsi, ecco perché il fumo non smette mai di volare su.
Ed ecco perché come uomini, per definizione metà di qualcosa e metà di qualcos’altro, camminiamo il divino viaggio terreno come tante immagini di un unico specchio e trasformiamo noi stessi in altrettanti viaggi come specchi di un’unica immagine.
Comunque da un viaggio, per lo meno in forma corporea, alla fine bisogna pur tornare. E facciamolo con un volo da Catania a Roma.
Solo, lungo il tragitto verso l’aeroporto, perché non passare da casa di Bellini e poi dal suo sepolcro, da casa di Verga, dalla Piazza dell’Elefante, da Aci Castello, da Aci Trezza, dai Malavoglia, dai mille personaggi in cerca d’autore, da tutti gli uomini che stanno soli sul cuore della terra trafitti da un raggio di sole, finché l’aereo decolla ed è subito sera, e poi anche notte, e attraverso l’oblò le luci e le persone sembrano così insignificanti e la distanza dello stretto non così vasta, che ci vorrà mai a costruire un ponte…
Ma forse è destino che resti quello che è: un’isola.
Un’isola a tre punte, ognuna rivolta a uno dei tre oceani del pianeta. E la quarta, la più insospettabile, diversa dalle altre come l’Evangelista accompagnato da un angelo invece di un animale o come il punto cardinale che non vede il sole ed ha potere magnetico, la quarta punta è il picco di un monte a fauci spalancate che con i suoi rombi di fuoco trapassa le viscere della terra e col suo unico occhio da ciclope osserva da prima dell’uomo fino a dopo l’uomo il tetto del firmamento.
La quarta punta, la quarta dimensione, il tempo, il tempo degli uomini che più ci si allontana dalla terra e più si assottiglia, più si viaggia e più acquista senso – perdendone.
Per questo di viaggiare non possiamo proprio fare a meno.
E io lo so, so che un giorno o l’altro arriveremo finalmente alla meta. Allora non ci sarà più bisogno di parole.
© Maurilio Di Stefano, 2017
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